Pubblicato su Settimana
Uno dei fenomeni che sta scuotendo la cultura pop è la proiezione sulle televisioni di tutto il mondo di una nuova serie televisiva: Westworld. Dove tutto è concesso (già recensita da noi qui). Westworld è una serie televisiva statunitense ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy per la HBO e racconta la storia di un avveniristico parco a tema che porta il nome della serie stessa. Il parco è popolato da androidi ed è stato creato per consentire ai visitatori un’esperienza a tema western realistica e ultra violenta, senza alcuna ripercussione morale e legale. Nel dipanarsi della trama, il dottor Robert Ford, direttore creativo del parco e capo del team di sviluppo, aggiorna continuamente gli androidi per renderli sempre più simili agli umani. Tuttavia, l’origine umana di questi input tende a prevalere sui comandi impostati dal team di sviluppo, rendendo instabili gli androidi che tentano di prendere il controllo e ribellarsi.
In un suo volume del 1956, Mythologies, Roland Barthes ha steso le basi per uno studio sistematico della cultura di massa moderna, la pop culture, esaminandone gli aspetti segnici inconsci e aprendo le porte alle applicazioni della semiologia-semiotica a fenomeni di significazione nella vita quotidiana e nel contesto di una società sempre più consumistica e materialistica. L’ipotesi di Barthes è che la pop culture sia capace di riciclare i miti classici, trasformandoli in nuove forme di rappresentazione le quali, a loro volta, si inseriscono nella forma mentis del mondo moderno incarnandone l’inconscio, le paure e i desideri. Westworld è tutto questo.
Ma i robot sono soltanto elementi del nostro subconscio?
Lavoratori «infaticabili»
Fuori dalle dinamiche del mito che animano la pop culture dobbiamo riconoscere che la comunità europea ha percepito l’avvento dei robot come una di quelle innovazioni tecnologiche che potranno cambiare radicalmente le relazioni tra le persone nella società e nel mondo del lavoro. Per cercare di capire il potere trasformante dei robot proviamo a tratteggiare alcuni scenari.
Sostieni SettimanaNews.itAlcune società stanno sviluppando una serie di robot (cioè di macchine e di software dotati di intelligenza artificiale) in grado di prendersi cura dei malati e degli anziani in maniera più efficace e più attenta di quanto possa fare un essere umano. La cosa sorprendente è che gli anziani che si sono prestati alla fase di sperimentazione si sono poi detti più soddisfatti dalle relazioni che hanno instaurato con l’intelligenza artificiale della macchina che non dal livello di attenzione che ricevevano dai parenti.
Le intelligenze artificiali hanno capacità di trovare soluzioni soddisfacenti ed eque là dove l’uomo sembra spesso cadere in un’impasse. Esse hanno la possibilità di «creare» soluzioni che l’uomo non riesce a trovare, rispettando dei parametri impostati a priori. Alcuni tecnici stanno provando ad applicare queste forme di intelligenza artificiale ad altri ambiti, come quello giuridico (la legge e i processi). Il risultato appare sorprendente, tanto da lasciar immaginare che sostituendo i giudici e gli avvocati con delle intelligenze artificiali si potrebbero avere processi più rapidi, più giusti e meno problematici.
I robot riescono inoltre a mantenere la concentrazione e ad operare in ambienti dove per l’uomo sarebbe semplicemente impossibile sopravvivere. Sono lavoratori «infaticabili», in grado di operare senza sosta in ambienti nocivi, subendo – nella peggiore delle ipotesi – solo danni di tipo tecnico, con l’eslusione di sofferenze fisiche o lutti per incidenti sul lavoro.
UE: un’ipotesi di legge
Alla luce della situazione illustrata, il Parlamento europeo ha allo studio l’ipotesi di dotare i robot di una «personalità elettronica». Al momento, ai cittadini europei viene riconosciuta la cittadinanza e alle imprese una personalità giuridica. I nuovi abitanti del Vecchio Continente avranno invece una «personalità elettronica», sulla base della quale godranno di diritti e avranno doveri. Se la proposta dovesse trovare attuazione i robot saranno registrati e muniti di una sorta di «carta d’identità», saranno responsabili per i danni che dovessero eventualmente provocare e contribuiranno – anche se a chi scrive non è ben chiaro in che modo – a sostenere il welfare delle nazioni che li impiegano.
Mady Delvaux La bozza di legge è stata presentata al Parlamento europeo da Mady Delvaux, una parlamentare appartenente al partito operaio socialista del Lussemburgo. Leggendo il testo proposto si trovano riferimenti letterari a opere quali Frankenstein, Pigmalione, il Golem di Praga e perfino gli scritti di Karel Capek, lo scrittore ceco inventore della parola robot. In realtà, le argomentazioni che sostengono la proposta sono di natura economica: tra il 2010 e il 2014 le vendite di automi, nei settori automobilistico ed elettronico, negli ospedali e nell’assistenza agli anziani, sono cresciute su scala globale del 17% all’anno; lo scorso anno hanno fatto addirittura registrare un balzo del 29%. Nel mondo della ricerca tecnologica, i brevetti che vincolano la produzione o lo sviluppo di nuovi robot nell’ultimo decennio sono triplicati. Di fronte a questi dati la bozza di legge vorrebbe istituire una sorta di tassa sui robot, per sostenere il sistema previdenziale, sempre più privato del contributo di tanti lavoratori umani. Se la proposta dovesse essere accolta possiamo immaginare un futuro in cui ogni cittadino che impieghi robot dovrà segnalarli allo stato, indicando anche quanto risparmia in contributi grazie alla sostituzione dei lavoratori tradizionali in favore di quelli in acciaio e silicio.
Legalmente responsabili
Secondo la proposta di Delvaux, però, anche i robot dovranno rispettare apposite leggi: un codice di condotta che dovrebbe essere redatto ad hoc da Bruxelles. Se una di queste macchine dovesse infrangere una norma – cosa possibile essendo intelligenze artificiali in grado di decidere autonomamente –, o causare un danno a cose o persone, ne risponderebbe legalmente. Si prospetta l’idea di implementare una sorta di registro che traccerebbe l’identità dei «lavoratori artificiali» in tutta Europa, con un obbligo di assicurazione del tutto simile a quello previsto per le automobili.
La proposta della parlamentare lussemburghese ha suscitato reazioni contrastanti. Alcuni l’hanno indicata come una profezia, mentre altri hanno dato vita a una vera campagna di ridicolizzazione della proposta. Ci limitiamo qui a segnalare che, a distanza di poche settimane, anche l’autorevole voce di Bill Gates, fondatore della Microsoft, ha fatto una proposta analoga al Congresso degli Stati Uniti. Ci sembra che il tema meriterebbe di trovare uno spazio anche nei nostri dibattiti. Come cittadini, ma anche come credenti, dovremmo occuparci di cosa voglia dire creare società sempre più automatizzate e affidate alle intelligenze artificiali. Meglio prepararsi a essere attori di questo processo di trasformazione, portando il contributo della nostra riflessione specifica, per non subire semplicemente il cambiamento restandone fuori.