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  • Immagine del redattorePaolo Benanti

Black Mirror: i cyborg e noi


Pubblicato su Il Regno - Moralia

Black Mirror è una serie televisiva di grande successo i cui temi occupano spazi sempre di più grandi nelle conversazioni quotidiane. L’idea nasce da un produttore britannico, Charlie Brooker, che l’ha sviluppata per Endemol. Black Mirror si classifica come serie antologica: scenari e personaggi - compreso l’intero cast degli attori - sono diversi per ogni episodio.

Al momento ne sono state prodotte due stagioni da tre episodi, una terza da sei e un episodio speciale tra la seconda e la terza serie; inoltre voci insistenti dicono che, visto il successo delle ultime stagioni, sia già in lavorazione una quarta serie. È stata trasmessa in prima visione mondiale su Channel 4 dal 4 dicembre 2011, quindi in Italia su Sky Cinema 1 dal 10 ottobre 2012 e ora sulla piattaforma di entertainment digitale Netflix, che ne possiede l’esclusiva globale.

Il trionfo della fiction, oltre alla qualità narrativa e dalla fotografia, è indiscutibilmente legato al filo conduttore che lega i diversi episodi: l’impatto sociale e culturale delle nuove tecnologie. Il titolo stesso della serie, Black Mirror appunto, è il termine gergale con cui si indica lo schermo spento, il freddo schermo nero, che si frappone tra noi e l’utilizzo di ogni strumento informatico, sia esso un televisore, un monitor o uno smartphone.

Non solo distopia

Dal nostro punto di vista però questa popolare fiction non è semplicemente un’ulteriore tappa di un genere, il cyberpunk, che a partire dagli anni Ottanta ha iniziato a scrivere di un futuro distopico in cui l’uomo potrebbe venire annientato dalla tecnologia. Gli episodi di Black Mirror non sono semplici suggestioni apocalittiche su un futuro tecno-distopico. Le narrazioni di questo prodotto di largo consumo sono in realtà “luoghi” culturali di profondo interesse etico-morale. La commistione tra macchina e umano che la serie propone, questi soft cyborg – ibridi uomo-macchina connessi da arterie informative – di un prossimo futuro, sono “oggetti” culturali di sommo interesse.

Quello che emerge è che nei sogni e nelle paure dei nostri contemporanei oggi non esiste più il mostro, essere cattivo che veniva da lontano e totalmente diverso dall’uomo. Dalle sue ceneri è nato l’Homo tecnologicus, il soft cyborg di Black Mirror, che ne ricopre il ruolo narrativo e sociale: questa fiction è una metafora, un’immagine e uno strumento che serve a studiare l’uomo e la sua idea di essere, oggi, un ibrido fabbricato a partire da materia organica, miti, ossessioni, invenzioni, dogmi e fantasie.

Le narrazioni della serie sono sicuramente legate agli sviluppi della tecnologia, senza i quali difficilmente avrebbero potuto essere immaginate, ma anche in definitiva espressione di aspirazioni, di preoccupazioni, di incubi che nascono nel quotidiano ma se ne distaccano subito, per proiettarsi nello spazio “irreale” dell’immaginario, e apparentemente restarvi. Black Mirror ci consente di studiare la storia della specie umana dal punto di vista della sua relazione con la tecnologia e delle idee che se ne sono avute, oltre a offrirci una diversa prospettiva per immaginare l’evoluzione guidata della nostra specie a opera di artefatti tecnici.

Una rivolta etica?

Guardare questa serie permette di studiare il rapporto tra uomo e tecnologia nel complesso del suo capire e capirsi che chiamiamo cultura: la creazione di Charlie Brooker più che un oggetto di consumo del mondo dell’entertainment è un modo di pensare l’uomo, l’umano, il corpo e la corporeità.

Le storie raccontate nei diversi episodi dicono come si percepisca nel nostro oggi, e la si proietti come destino di domani, una condizione di sudditanza alla società tecnologica: la tecnologia e la società che la genera hanno perso la loro innocenza e vengono percepite come minacce da cui guardarsi con attenzione.

Allora Black Mirror rappresenta la rivolta di un ethos sociale a una trasformazione tecnologica del nostro presente. Guardare, analizzare e studiare questa narrazione non serve a immaginare il nostro futuro ma a chiederci, con una profonda istanza etica, che cosa vogliamo fare con la tecnologia e con il suo sviluppo nel nostro presente.


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