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Immagine del redattorePaolo Benanti

Tatuaggi viventi: utilizzare batteri vivi stampati in 3D


I ricercatori del MIT hanno modificato geneticamente delle cellule batteriche e contemporaneamente hanno sviluppato una nuova tecnica di stampa in 3D per creare quello che hanno definito un "tatuaggio vivente" che è in grado di reagire a una serie di timoli. Nella fattispecie il tatuaggio vira, cambia colore, in presenza di particolari stimoli chimici.

L'idea di tatuaggi elettronici e degli smart ink hanno già mostrato come ci si trovi di fronte una rivoluzione rispetto a quanto pensiamo sui dispositivi indossabili (wearable). Fin'ora la ricerca si è concentrata nella ricerca di nuovi materiali capaci di rispondere alle variazioni biochimiche dell'organismo. Al MIT hanno iniziato ad approcciare la questione in maniera differente provando ad utilizzare cellule vive per ottenere scopi funzionali.

Il primo passo è stato guardare a quali cellule potevano essere utilizzate. Le cellule batteriche si sono rivelate essere le più forti e le più adatte allo scopo perché in grado di sopravvivere al passaggio attraverso l'ugello di stampa e alla forza impressa dal meccanismo 3D. Inoltre sono perfettamente compatibili con il medium (hydrogel) che si utilizza come soluzione per una stampa accurata.

A questo punto i ricercatori hanno creato una struttura di cellule batteriche in 3D stampata su un sottostrato di materiale elastomero progettato per assomigliare a un albero. I batteri in ogni ramo dell'albero sono stati ingegnerizzati per rispondere a a differenti stimoli chimici. Il tatuaggio è stato posizionato su una mano che era stata in contatto con differenti sostanze chimiche: i rami dell'albero, le cellule batteriche, si sono colorati in maniera corrispondente ai reagenti chimici deposti sulla pelle.

A questo punto, visto il successo dell'esperimento, il team del MIT ha iniziato a ipotizzare gli utilizzi possibili. Lo scopo ultimo di questi sistemi è realizzare nuovi modi per far arrivare i farmaci direttamente a quelle cellule del nostro organismo che devono essere trattate medicalmente (drug delivery).

Inoltre questa tecnica lascia ipotizzare qualcosa di ulteriore e più futuristico: la possibilità di realizzare una sorta di computer vivente. Creando strutture complesse fatte di mote differenti cellule opportunamente ingegnerizzate si possono pensare strutture che comunicano nel loro interno in una maniera analoga a come fanno i transistor su un microchip.

Utilizzi meno lontani nel tempo prevedono la realizzazione di sticker con cellule appositamente ingegnerizzate in grado di rispondere ad alcuni particolari stimoli ambientali o in grado di monitorare parametri vitali in concomitanza con il cambio della temperatura o al mutare del pH della pelle.

In ambito medico, la stampa 3D viene usata da tempo in specifici settori. Con essa si realizzano ad esempio protesi ossee. Alla luce delle innovazioni annunciate, in un futuro non troppo lontano la stampa tridimensionale potrebbe risolvere il problema della mancanza di organi per i trapianti. Come sottolinea un recente articolo comparso su un’autorevole rivista del settore, sono molti gli scienziati che lavorano in questa direzione.

Imprese biotecnologiche come Organovo si stanno specializzando in dispositivi di “biostampa 3D” mediante delle macchine non troppo diverse, concettualmente, dalle stampanti 3D che già conosciamo. Ciò che cambia è la materia prima: invece di materiali a base di polimeri plastici o leghe speciali di metallo, questa tecnologia usa cellule viventi di diverso tipo. Una delle tecniche più promettenti consiste nel far deporre dalla stampante strati di cellule in una soluzione di gel e materiali biodegradabili che amalgamano la struttura stampata, non permettendole di dissolversi, fino al momento del trapianto. Successivamente, una volta innestate nel corpo vivente del ricevente, le singole cellule e la struttura si modificano in modo tale da rendere tutto il prodotto stampato autosufficiente e integrato. Man mano che le cellule stampate colonizzano la “protesi” biodegradabile, questa si dissolverà fino a scomparire completamente . Di fatto possiamo immaginare questa macchina come una stampante analoga a quelle che troviamo sulle nostre scrivanie che però utilizza, come “inchiostro”, una soluzione di cellule in sospensione in un gel a base di acqua (idrogel) . Quello che riusciamo ad ottenere al momento è un composto simile a un filato. I tessuti e gli organi, prodotti a partire dallo stampo premodellato in questo materiale sintetico biodegradabile, sono una trama di cellule su un ordito di sottili canali. Attraverso questi minuscoli canali, acqua, ossigeno e sostanze nutritive possono raggiungere le cellule trattenute nel gel.

Prospettive etiche e orizzonti distopici

I progressi in atto nelle biotecnologie e la velocità con cui si creano sempre nuove frontiere di intervento sull’uomo suscitano interrogativi e quesiti. Guardando alle biotecnologie come il 3DBioprinting, per valutare nel concreto le sfide etiche di fronte a cui ci troviamo, bisogna inevitabilmente rifarsi a ciò che costituisce un valore umano, cioè a ciò che può attuare l’esistenza umana in maniera autentica. È intuitivo che tutti quegli utilizzi che permettono all’uomo di curare, rigenerandolo, il corpo umano possono e devono essere accolti come positivi, per il modo in cui contribuiscono all’umanizzazione dell’esistenza. Il fatto però che tali biotecnologie siano potenti strumenti che consentono potenzialmente di modellare il corpo delle persone in una maniera inedita e con grande facilità comporta un rischio, e cioè che l’applicazione di queste tecniche alla chirurgia estetica si trasformi in una sostanziale svalutazione del corpo e della corporeità, visti come accidens dell’esistenza. Urgono perciò coordinate valoriali per orientare l’innovazione tecnologica. Profetiche appaiono, in tal senso, le parole che Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti al convegno inter-accademico L’identità mutevole dell’individuo: “Mentre le scienze esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza dell'uomo e del suo universo, grande è la tentazione di voler circoscrivere completamente l'identità dell'essere umano e di chiuderlo nel sapere che ne può derivare. Per non intraprendere questa via, è importante dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere nell'uomo il suo mistero, poiché nessuna scienza può dire chi è l'uomo, da dove viene e dove va. La scienza dell'uomo diviene dunque la più necessaria di tutte le scienze” . È necessario inserire anche prospettive valutative che sottolineino il tipo di relazione esistente tra innovazione tecnologica e sviluppo sociale. In un contesto economico nel quale le risorse si rivelano limitate, lo sviluppo tecnologico implica una scelta tra diversi ambiti di ricerca. Favorire una ricerca piuttosto di un’altra ha delle implicazioni etiche legate al bene tanto dei singoli quanto dei gruppi. Questi elementi, e i criteri di scelta nella selezione delle aree di sviluppo tecnologico, devono essere resi visibili sottraendoli a interessi sommersi, perché vengano resi oggetto di discernimento morale. Una corretta impostazione del dibattito etico dovrà tener conto di tutti i criteri che possono favorire od orientare verso il bene comune le innovazioni tecnologiche. Come credenti abbiamo il compito di abitare i luoghi civili di gestione dell’innovazione per indirizzarla verso forme sempre più umane, essendo presenti e fornendo argomentazioni efficaci nel dibattito pubblico che a questa innovazione soggiace.

Un nuovo dilemma: naturale, artificiale o sintetico In conclusione, prestare la nostra attenzione al 3DBioprinting ci aiuta a rilevare come la nostra vita sia oggi immersa in un processo irreversibile di progressiva artificializzazione della natura. Ricorda Simon che «il mondo in cui viviamo è sempre più un mondo artificiale, fatto dall’uomo, e non un mondo naturale. In quasi tutti gli elementi che ci circondano vi sono tracce dell’intervento artificiale dell’uomo» . È ormai acquisita la consapevolezza che soprattutto nei paesi industrializzati l’uomo è sempre di più a contatto solo con se stesso e con la propria produzione di artefatti: “La manipolazione della natura, del territorio, del contesto materiale e vivente è stata tale che lo spazio artefatto, vero e proprio secondo ambiente, si sovrappone alla natura naturale integrandola. L’ampia zona di artificialità che si viene a creare, possiede un suo carattere assorbente e ammortizzante, interponendosi come un materiale spugnoso tra noi e la natura” . Siamo in un momento della storia dell’umanità in cui i processi di contaminazione e di ibridazione tra natura e artificio stanno arrivando al culmine, con massima enfasi sull’artificializzazione del corpo umano e dell’ambiente . La crescente e inesorabile sfocatura nella distinzione tra naturale e artificiale, così come il sorgere di questa nuova categoria del sintetico, esigono lo sviluppo di strumenti teoretici adeguati per poter decodificare e vivere le sfide del presente, e per poter far incarnare nell’oggi le verità della nostra fede. Solo prestando la dovuta attenzione alle nuove frontiere delle biotecnologie e partecipando attivamente al loro sviluppo e alla loro gestione potremo rendere di nuovo visibile nell’oggi la grandezza della vocazione umana pur nella fragilità della sua costituzione biologica.

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