L’idea di modificare il corpo umano non è una novità. In passato in diverse culture si sono usati i tatuaggi. Quelli che attualmente riteniamo essere i tatuaggi più antichi del mondo sono stati ritrovati sul corpo di due mummie egizie risalenti a 5.000 anni fa. Raffigurano un toro con delle lunghissime corna, una pecora nordafricana e dei motivi (forse tribali) a forma di S. La scoperta è importante perché retrodata le pratiche dei tatuaggi di almeno 1.000 anni. Finora, infatti, si credeva che i tatuaggi più antichi fossero quelli della mummia di Ötzi (3370 e il 3100 a.C. ).
Se il tatuaggio della contestazione esprimeva una divisione tra chi si ribellava e l’establishment sociale, nei decenni successivi la globalizzazione economico-culturale e il crollo delle grandi ideologie portarono a una perdita di identità specifiche. È forse in seguito a questo processo di appiattimento e omologazione che molti giovani hanno riscoperto il tatuaggio quale mezzo per distinguersi, sia come individui, sia come gruppi o bande. Il segno sul corpo lo rende unico, e pertanto diverso.
Il tatuaggio si rivela una simbolica barriera intesa ad arginare i progressi dell’indistinto, e un personalissimo percorso sentimentale che è garanzia dell’unicità della propria coscienza.
Questa ricerca trova una propria esistenza anche in alcune forme di piercinge di body art. Tuttavia, l’avvento di quella cultura sintetica che si è generata a partire dalla seconda metà del Novecento rende oggi pensabile una nuova frontiera di modifica del corpo grazie alle tecniche avanzate di editing genetico.
Nascono oggi i biohacker: persone e comunità che fanno ricerca biologica nello stile hacker, cioè al di fuori delle istituzioni, in forma aperta e orizzontale, condividendo le informazioni. Si tratta di esperienze in cui, tramite la rete o costruendo laboratori a cui chiunque può accedere e partecipare, si cerca di rendere la biologia più collettiva e aperta. Proprio come accade nella produzione di software open source.
L’idea di modificare il proprio corpo, di cambiare la nostra natura umana, non è solo il frutto della possibilità tecnica (l’avvento della realtà sintetica), ma anche lo sviluppo di una cultura adeguata: ciò che abbiamo chiamato cultura sintetica.
I progressi che le biotecnologie stanno operando e la velocità con cui si creano sempre nuove frontiere di intervento sull’uomo suscitano numerosi interrogativi e quesiti. In queste pagine analizzeremo quella particolare possibilità che le nuove tecnologie sembrano rendere possibile ai nostri contemporanei: migliorare l’uomo indirizzandone lo sviluppo verso nuove e inedite modalità di esistenza. In altri termini, realizzare l’uomo sintetico.
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