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  • Immagine del redattorePaolo Benanti

L'avvento di Matrix: se le macchine scelgono chi nascerà...


Il desiderio di avere un figlio ha incontrato ormai da diversi anni la tecnologia: le tecniche di procreazione artificiale sono la mediazione tecnologica a cui oggi sempre più coppie ricorrono in occidente per aggirare il problema dell’infertilità. La tecnologia medica però è uno strumento che non garantisce le stesse percentuali di successo che possiede se applicate alla trasformazione dei materiali inerti: la vita con tutte le sue variabili resta imprevedibile. Di fatto le statistiche mostrano come le tecniche di procreazione artificiale, specialmente la fecondazione in vitro (FIV) si attestino su un tasso di successo tra il 20 e il 35%. Nei paesi occidentali che hanno un sistema sanitario a pagamento, come gli Stati Uniti, una tecnica come la FIV ha un costo di circa 6.000$. Visto il tasso di successo questo significa che realisticamente una coppia si debba aspettare circa cinque cicli per avere un bambino per una spesa stimabile di 30.000$.

Per aggirare questo inconveniente i centri per la procreazione artificiale spesso scelgono di fecondare più ovuli generando così più embrioni per aumentare le chance di successo dell’impianto e di gravidanza.

Tuttavia oggi alcune nuove tecnologie che sembrano poter essere applicate a questo processo prometterebbero tassi di successo molto maggiori. Se fino ad oggi il medico o il tecnico di laboratorio erano gli addetti alla selezione degli embrioni e al loro intuito e “occhio clinico” era affidata questa operazione, oggi si fa strada l’idea di utilizzare un’intelligenza artificiale. Se sono caratteristiche come la ruvidità superficiale e la rigidità a determinare le possibilità di successo nell'impianto allora una macchina con un software di machine learning può avere più successo di un uomo.

Alcune start-up vogliono iniziare ad usare dei dati fotografici (immagini digitali ad alta risoluzione) per “addestrare” la macchina a“capire” e “decidere” sulla qualità degli embrioni. La prassi comune è che dopo l’unione dei gameti, lo spermatozoo e l’ovulo, si tengono in cultura gli embrioni per cinque giorni, cioè fino a quando non si sviluppa una massa di circa cento cellule il cui nome tecnico è blastociste. Solo a questo punto si procede con il trasferimento tubarico dell’embrione. I tecnici quando trasferiscono gli embrioni sono soliti guardare ad alcune caratteristiche: la simmetria e il numero delle cellule. Questo processo, come tutti gli esami che coinvolgono la perizia dell’esaminatore, è molto soggettivo e si affida all'istinto del personale che lo svolge. Elpida Fragouli della Reprogenenetics, una società che è parte di un network globale di laboratori per la fecondazione artificiale, sostiene che l’utilizzo di macchine dotate di sistemi di IA porterebbe a una oggettivizzazione dell’analisi che si trasformerebbe in un incremento del successo delle tecniche di fecondazione artificiale. Stando alle parole della Fragouli questo permetterebbe di stare al passo con i “segni dei tempi” che chiedono alle donne di posticipare la data della gravidanza consentendo di avere una maggiore speranza di nascita da questi processi.

I tecnici stanno già sviluppando i primi strumenti necessari per mettere in atto questo processo. A titolo di esempio citiamo il test chiamato Eeva che è stato recentemente approvato dalla Food and Drug Administration, l’organismo preposto a disciplinare questa materia in USA. L’Eeva usa un insieme di immagini registrate in time-laps per fornire una predizione di quale embrione abbia la migliore chance di divenire una blastociste. Il test non utilizza solo dei parametri morfologici, come farebbe un tecnico di laboratorio, ma identifica delle pietre miliari nello sviluppo che la macchina classifica e riconosce in forza dei suoi algoritmi di machine learning.

In particolare il team della Fragouli sta sviluppando un metodo che vorrebbe identificare gli embrioni da scartare misurando il livello di DNA in quella parte delle cellule, i mitocondri, che sono deputate a magazzino energetico. L’idea è che sotto alcuni livelli soglia la possibilità di impianto non sia favorevole. Secondo i dati che hanno raccolto il loro metodo è stato in grado di predire con estrema accuratezza quali su 249 embrioni trasferiti nelle tube, tutti con regolare espressione cromosomica, avrebbero fallito nell'impianto. Come argomento rafforzativo si sostiene che in questa maniera non ci sia bisogno di prelevare cellule dall'embrione sottoponendolo a ulteriori rischi.

L’idea di fondo è quella di applicare modelli statistici alle immagini e evitare così ogni forma di intervento diretto sull'embrione.

Analogamente l’università di Stanford ha sviluppato un modello matematico in grado di predire con una precisione del 90% l’attitudine di un embrione a svilupparsi nello stato di blastociste in forza della sua resistenza e flessibilità alla compressione nel prelievo con una pipetta da laboratorio. Nella Northwestern University si sviluppano modelli matematici basandosi sul rilascio di zinco da parte di un ovulo al momento della fertilizzazione.

Se la tecnologia e i sistemi di intelligenza artificiale promettono risultati migliori non possiamo eluderci dal chiederci cosa questo significhi.

Tralasciamo qui tutte le questioni su quanto questi sistemi violino la dignità umana dando per assodato che queste tecniche siano una grave violazione della norma morale.

Ci vogliamo però interrogare se andando avanti in questa direzione non si aggiunga peggio al peggio, cioè se non stiamo peggiorando il male che già andiamo generando con queste tecniche.

In primo luogo la domanda di fondo è sulla categoria di “oggettivizzazione” che viene indicata per questi metodi.

Un algoritmo di intelligenza artificiale, un computo statistico sofisticato, il cui esito non è prevedibile a priori è un modo oggettivo?

Può questo modo essere più affidabile dell’uomo e della sua esperienza?

Infine la questione più inquietante: possiamo affidare a una macchina la selezione di chi è degno di nascere e chi no?

Può un sistema statistico decidere quali vite sono degne di vivere e quali no?

Non stiamo forse realizzando alcune delle peggiori distopie che la letteratura ha ipotizzato nei racconti fantascientifici?

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